Nietzsche giudicava il matrimonio “la forma più menzognera dei rapporti sessuali, ed è per questo che gode dell’approvazione delle coscienze pure”. Se oggi egli potesse perfezionare il suo pensiero, dovrebbe tenere conto di un significativo cambiamento sociale: i matrimoni diminuiscono, ma aumenta progressivamente il numero delle libere convivenze. Dunque, Nietzsche potrebbe azzardare l’ipotesi che la gente sia meno menzognera, oppure che matrimonio e convivenza siano la stessa cosa. Ma potrebbe uscire del tutto dal recinto del suo assioma e valutare, una volta per tutte, che i rapporti sessuali non richiedono più alcuna cornice legittimante. In realtà di dove, come, quando e con chi fare sesso non importa più di tanto a nessuno, se non a qualche PM. La libertà sessuale è diventata un diritto individuale, che i giovani cercano di conquistare al più presto, per non sentirsi dei paria, tanto che alcune statistiche segnalano la media dei 12 anni di età quale soglia dell’esperienza relativa. Una volta, nell’incontro tra due persone, si partiva dalla comunicazione dei sentimenti, dei progetti, dell’esperienza, della propria specificità per arrivare, più in generale dopo il matrimonio, all’incontro sessuale. Il matrimonio anche per l’importante influenza cattolica – aveva, appunto, la funzione di legittimare, nel chiuso della coppia coniugale, ogni reciproco entusiasmo dei corpi. Oggi che il sesso è diventato la prima e pressoché indispensabile forma di conoscenza tra le persone, dopodiché c’è la reciproca affannosa e confusa ricerca dei rispettivi sentimenti, il matrimonio ha perso la sua matrice sociale di ufficializzazione e accettazione del sesso tra adulti. I quali, invece, nel segno dell’affermazione dei diritti individuali e della libertà, tendono piuttosto a decidere di convivere senza formalismi. Questa è la forza della democrazia, che è propulsiva di tante libertà e suggerisce alle persone di creare e inventarsi nuovi modi di vivere. Anche l’amore. Negli anni sessanta, la modulazione variegata della struttura familiare, che oggi vediamo e in parte apprezziamo, sarebbe stata impensabile: anche perché la libera convivenza non solo non era praticata, ma in precisi casi addirittura vietata e sanzionata. Il concubinato, appunto, era reato, se coinvolgeva chi era già sposato. Dopo gli anni settanta, la riforma del diritto di famiglia, l’introduzione del divorzio, una più profonda attenzione all’affettività e la trasformazione della relazione tra genitori e figli, hanno cambiato il costume e il sentire sociale. Il matrimonio è diventato a tal punto un affare privato da essere persino considerato inutile: è l’amore che legittima un’unione, senza necessità di formali convenzioni e, tantomeno, delle maglie della legge. C’è peraltro chi sceglie la libera unione per un ideale preciso, e chi è costretto a sceglierla perché, per esempio, in attesa di divorzio. Ma anche chi non vuole perdere i vantaggi di un precedente matrimonio: la pensione, le aspettative ereditarie, un assegno divorzile, la copertura assicurativa. Ci sono i conviventi che, pur volendosi sposare, non lo fanno per non deludere i figli preoccupati di vedersi ridotte le quote ereditarie. Ci sono anche quelli che hanno paura di scegliere, credendo che la convivenza sia più reversibile del matrimonio. Ci sono poi gli omosessuali, che hanno nella convivenza una strada priva di alternative, non avendo l’opzione del matrimonio. In tutti i casi, tuttavia, ci sono gli stessi pregi, difetti e rischi rappresentati e determinati dall’assenza di un regolamento giuridico. Che tuttavia è, quasi sempre, il voluto punto di partenza della decisione di convivere. No matrimonio, no regole. Se non si vuole però che lo Stato invada il privato sentimentale, non si può pretendere di essere dallo Stato protetti e garantiti, quando il sentimento esplode nel risentimento. E, invece, le coppie di conviventi comprano case, risparmiano, costruiscono insieme un tenore di vita. Quando, infine, amore e denaro confliggono fino a distruggersi reciprocamente, c’è sempre uno dei due che chiede alla giustizia di trattare quel “quasi matrimonio”, come fosse un vero matrimonio. Ma la disciplina legale del matrimonio (e dunque del divorzio) è fondata su di una serie precisa di diritti e di doveri, che i liberi conviventi hanno abiurato proprio nel momento stesso in cui hanno voluto esprimere il diritto di libertà – costituzionalmente garantito – di affrancare la loro vita affettiva da qualsiasi schema giuridico. Fatto sta, che i Tribunali pullulano ormai di “quasi divorzi”; e molti conviventi si rendono, quindi, conto che il rifiutare le regole non salva dalle cause. Si risparmia il denaro del ricevimento matrimoniale, dell’abito e delle bomboniere, ma c’è il rischio di pagare, al momento del distacco, tante azioni giudiziarie quanti sono i problemi irrisolti in gioco: nella separazione coniugale figli, casa e denaro sono regolati da un unico giudice, mentre i conviventi dovranno trovarsi un giudice per ogni problema da superare. Una donna convivente ma molto abile, può tuttavia – se vuole – salvarsi in extremis: finito l’amore, deve pretendere il matrimonio riparatore!