La disperazione dei genitori che, incapaci di governare la propria figlia sedicenne, si rivolgono al Tribunale per i Minorenni affinché i Giudici la convincano ad agire come loro vorrebbero, è sintomatica del disordine mentale in cui vive la società di oggi. Intanto, la responsabilità della crescita di una ragazza, almeno sino al raggiungimento dei diciotto anni, è solo ed esclusivamente dei genitori. Della capacità educativa, dell’accudimento, dell’attenzione quotidiana, e degli insegnamenti impartiti. Dell’autorevolezza acquisita giorno per giorno, durante la difficile crescita e formazione della figlia. E’ fuori luogo, e fuori dal diritto, ricorrere al paracadute del Tribunale dopo che la figlia ha combinato i guai che le è stato permesso, di fatto, produrre. In particolare, è paradossale chiedere al Giudice di ordinare alla ragazza incinta di abortire, quando la scelta dell’aborto è un diritto e mai un dovere. E’, per di più, incongruente, da parte dei genitori, fallimentari nel ruolo direttivo della vita della figlia, ipotizzare che un Tribunale possa mai decidere di fare uccidere il nipote. Per non dire della richiesta, sempre rivolta ai Giudici, di fare allontanare il fecondo fidanzatino della ragazza, quando non solo non ci sono riusciti loro, ma hanno una figlia decisa a fare solo ciò che vuole, quindi in barba anche alle decisioni impossibili di un Tribunale. Esattamente come l’hanno “educata”: senza valori, senza rispetto dell’autorità e di se stessa, irresponsabilmente decisa a fare ciò che ritiene meglio per sé, senza sapersi organizzare un minimo di futuro concreto. Addirittura, a detta dei genitori, innamorata di un ragazzo con precedenti penali e votato alla violenza. Dunque, incosciente, non lungimirante, ottusamente ottimista. In nome del cosiddetto amore, che oggi viene sempre più confuso con l’attrazione sessuale e i guazzabugli ormonali. Colpa evidente di una malintesa educazione sessuale e della ormai inesistente educazione sentimentale. Per non parlare della povertà di ideali che si offrono ai ragazzi di oggi, tutti basati sugli pseudovalori dell’immagine e sull’ambizione di conquistare obiettivi effimeri. Giovani informati dei diritti infiniti che hanno conquistato, ma del tutto, e volutamente, inconsapevoli della reciprocità di ogni diritto a un corrispondente dovere. Questo è quasi certamente lo scenario nel quale è vissuta la ragazza e dal quale emergono, quali protagonisti della tragedia, proprio i genitori. Che, dopo aver probabilmente voluto garantire la felicità alla figlia, dandole qualsiasi cosa potessero e permettendole qualsiasi cosa lei volesse, secondo i dettami della più sbagliata sceneggiatura del ruolo genitoriale, ora devono fare i conti con i risultati disastrosi. Conti che continueranno a pagare loro. Non solo in termini di delusione, ansie, dolore, ma anche di denaro. Perché saranno proprio loro a farsi carico dei costi del mantenimento sia della figlia, sia del nipote. Nel nome certo indispensabile della legge. Ma anche nel nome altrettanto sicuro dell’amore genitoriale, capace di cancellare, come uno tzunami, struggimenti, affronti e qualsiasi dispiacere: pur di non vedere i figli dibattersi nelle situazioni difficili. Spero che questa ragazza non decida di dare il figlio in adozione, come sarebbe possibile. Spero invece che si renda conto della grande responsabilità che si è assunta – probabilmente senza rendersene conto, nella spensieratezza del momento organizzatole dagli ormoni – e che voglia affrontarla fino in fondo. Anche con l’aiuto indispensabile dei genitori: verso i quali, finalmente, dovrebbe imparare a essere umile e riconoscente; se non altro capendo la potenza indistruttibile dell’amore genitoriale, nutrito e corroborato dalla fatica di ogni giorno. Forse, però, riconoscente non riuscirà a esserlo: i figli sono convinti che l’amore dei genitori sia un diritto produttivo di tanti diritti. L’unico amore, anche se pasticciato e incompetente, ma sempre gratuito e costosissimo, è quello discendente, cioè dei genitori per i figli.