Avevo sei anni ed ero al cinema con mio padre. A un certo punto del cartone animato, Cenerentola fuggiva in giardino e, nascosta da tutti, piangeva sommessamente. Mio padre allora mi disse: «Vedi com’è elegante piangere da soli e in silenzio? Solo così si evitano critiche, imbarazzi e inutili consolazioni. Bastano le tue lacrime ad alleggerirti il cuore. Per gli altri, il tuo dolore è un peso, quasi sempre difficilmente sostenibile». Questo insegnamento, sulla dignità del piangere in solitudine, ha condizionato positivamente la mia vita, se non altro perché non mi posso rimproverare di fare parte di questa società di frignoni e spioni spudorati, che non hanno saputo difendere neppure l’ultimo baluardo della privacy; appunto, il pianto solitario. Naturalmente le lacrime non sono solo l’effetto di sentimenti negativi, ma anche espressione di emozioni positive. Le lacrime di gioia, è giusto e generoso condividerle con gli altri, quando nascono dal riso esagerato, dalla voglia di ringraziare, dalla solidale partecipazione a un evento felice anche per gli altri. Le donne, tuttavia, sono più abituate a piangere, anche pubblicamente, per concessione culturale e in omaggio muliebre al detto antico «Né nozze, né canto, né mortorio senza pianto». Del resto, basta pensare al rituale funerario delle prefiche, che ancora in molti paesi del Sud esprimono a gran voce, e anche per conto degli uomini, il dolore per la perdita di un appartenente alla comunità. Per tradizione, quindi, gli uomini non dovrebbero mai piangere; forse per non mostrare femminea fragilità, giusta il fatto che le donne passano come naturalmente propense al gemito e al singhiozzo. Invece, oggi, siamo circondati da una inquietante stirpe di uomini che, tanto poco si vergognano dei loro «sentimenti», da volerli fin troppo palesare, perfino con le lacrime. Sono uomini piagnucolosi, imbrigliati in se stessi e che si sanno esprimere alla vita solo con il lamento lacrimoso, perché hanno perso il lavoro, la fidanzata, la partita; con il loro umido vittimismo, pur di conquistare qualcosa, cercano di afferrare la compassione altrui. Anche se non arrivano mai all’abilità da giocoliere di molte donne che, con le lacrime opportunistiche e manipolatorie, seducono, esercitano il potere e accumulano risparmi. In questo mondo di lacrime, vere, finte, strumentali o inutili, è emerso improvvisamente Marchionne che, a New York, si è messo a piangere e ha lasciato la sala dove era stato proiettato il nuovo spot della Chrysler, interpretato da Clint Eastwood. È da escludersi che lo spot gli abbia fatto tanto schifo, da dover piangere per il disgusto. Invece, queste sì, sono lacrime importanti e preziose: segnalano infatti la potenza di un’autentica emozione. Marchionne è un uomo col potere, ma non «di potere». Basta il suo maglione a dimostrare che è in intimità con la gente, e perciò rifiuta lo scudo di giacca e cravatta. Sembra un duro, ma è solo determinato: è uno che fa, agisce, inventa, crea, riorganizza e ricostruisce. Ha coraggio. Ha passione per il suo lavoro vi si impegna con fatica. La fatica e l’amore per quello che si fa, combinati insieme, costituiscono una bomba ad alto potenziale esplosivo, nel momento in cui si raggiunge l’obiettivo prefissato. E, poiché il governo dei propri sentimenti, anche per un uomo pubblico, non deve giungere fino al punto di negarli, credo proprio che Marchionne abbia pianto per la felicità che è scoppiata, nel suo cuore ancora bambino, quando si è reso conto, con la visione del filmato, di avercela fatta. Dopo avere sfidato tutto e tutti, rischiato e rivoluzionato metodi e mezzi. Queste lacrime non possono che far mettere in discussione, e quindi svelare, un antico e paradossale equivoco, che mina la coppia. Le donne, infatti, hanno da sempre l’idea romantica di voler essere amate da un uomo avventuroso e poeta; così, però, maldestramente, incappano in traditori seriali che, poi, scoperti, piagnucolano e pretendono di farsi perdonare, spacciando le loro lacrime come poesie d’amore. Invece, se solo conoscessero l’etimologia di avventura (dal latino «ad ventura»: ciò che accadrà) e di poeta (dal greco «poietes»: colui che produce) apprezzerebbero solo veri e desiderabili uomini come Marchionne: capace di piangere per la emozionante gioia di avere fatto accadere qualcosa di buono e produttivo.