Se un giorno una signora scrive una lettera aperta a un quotidiano nazionale e annuncia “vi racconto l’amicizia tra Simone, Daccò e Formigoni”, e se questa signora è Carla Vites, la moglie di Antonio Simone, da poco in carcere perché sospetto di reati connessi alla gestione della sanità lombarda, molti lettori sono subito indotti a pensare male. A pensare, cioè, che questa sia l’ennesima moglie gocciolante il fiele della vendetta, pronta a distruggere gli “amici” che, a suo parere, le avrebbero distrutto l’inconsapevole marito. Del resto il contenuto in sé del racconto, di primo acchito, avvalorerebbe il sospetto iniziale; la moglie, in sostanza, dice: caro Formigoni, mentre mio marito è in carcere, come pure Daccò, tu fai il figo spensierato nella mondanità milanese, dopo aver preso le distanze a gran voce dagli indagati che, fino a ieri, erano due tuoi carissimi amici. Appunto Simone e Daccò. Rivela poi che l’amicizia trentennale tra i tre uomini, e lei stessa che ha poi sposato Antonio, li ha visti protagonisti inscindibili di innumerevoli occasioni, felici, golose e goduriose, nelle quali la loro risalente e solida intimità di pensiero si è sempre stemperata anche nella condivisione delle frivolezze. A questo punto, e anche per il fervore del racconto, non velenoso ma calorosamente impetuoso, si capisce, invece, che Carla Vites non è una moglie rancorosa e vendicativa; ma neppure la complice ipocrita delle eventuali malefatte del marito, come è d’uso tra tanti coniugi di politici in odore di pastette. Anzi. La Signora, infatti, forte anche di un’anima ben palestrata da Don Giussani, esplode all’improvviso nell’urlo d’amore verso suo marito Antonio Simone. Immaginato, con dolore e raccapriccio, nel giorno del suo compleanno, all’interno di una cella carceraria con altri cinque detenuti. Contro l’altra visione, rarefatta e patinata, oltreché per lei infinitamente ingiusta, di Formigoni fotografato “mollemente adagiato” in un lussuoso letto del salone del Mobile di Milano. In questo livido contrasto, generato dal suo cuore evidentemente ricco di amore, stratificatosi come roccia nel tempo, Carla Vites vede l’iniquità di una trentennale amicizia rinnegata, l’impostura delle parole regalate dal potente al popolo nell’atto di sconfessare un ricco patrimonio affettivo costruito con gli antichi amici. E, dunque, la moglie che vede il marito tradito, non può che, come lei stessa spiega, avere “un travaso di bile”, ricordando la passata fratellanza con colui che lei oggi considera infido, e, contemporaneamente gridare la sua incondizionata solidarietà a chi, da quei sentimenti, non è stato onorato. “Auguri, Antonio” gli scrive, nel giorno del suo compleanno. E in quegli auguri c’è la trama di una vita vissuta intessendo sensibilità, coscienza e passione, valori e pensieri. C’è l’amore di una donna a fianco del marito nella buona e nella cattiva sorte. C’è il disprezzo per l’ingiusto agire di chi ha condiviso, malgrado tutto, la comune educazione umana e religiosa. C’è l’incredulità nell’accettare il male da chi ha avuto tutto il suo bene. C’è la voglia di onorare, e far onorare da tutto il mondo, quel marito, forse ancora inconsapevole del ripudio di un amico. Ma celebrato pubblicamente con vigore, dalla passione e dalla devozione incontaminata della moglie.