Negli ultimi dieci anni sono più che triplicati i matrimoni tra stranieri e italiani. In particolare, sono gli africani in prevalenza a volere una sposa italiana (o viceversa?). Un po’ più del 10% dei matrimoni misti avviene tra cristiani e musulmani. Non c’è statistica sulle coppie conviventi o sui genitori di diversa religione. Fatto sta che il fenomeno è significativo e una ricerca istat segnalava, comunque sia, che la durata media di una coppia mista è di 13 anni a Lecce,7 aMilano, 5 ad Ancona. Perché la coppia mista può essere più fragile di quella omogenea; non solo per lo sguardo curioso o sospettoso di chi abita nello stesso territorio, ma anche per le ovvie difficoltà di mediazione nella gestione dei figli, nell’educazione religiosa, nel rapporto mai di parità con la donna, nella prospettiva di un ritorno al paese d’origine del partner straniero. Sono fatti obiettivi e pure spesso irresponsabilmente trascurati dalle donne che confondono l’estemporanea passione erotica con la possibilità di un progetto di vita sereno e soprattutto stabile per i figli che ne verranno. Se poi a questo si aggiunge la notoria prepotenza e persino la violenza di molti maschi stranieri e non, diventa evidente la gravità del problema. Fare una famiglia è una scelta seria, che si può sbagliare anche coinvolgendo un partner dello stesso paese, razza o religione. Il partner non “dei paesi tuoi”, se la coppia non funziona, porta però un carico molto più pesante. Chi non lo prevede, e si illude di trasformare la vita e le persone secondo le più viete illusioni, non può affidarsi più di tanto all’aiuto e alla compassione altrui. Significativo in questo senso è il brutto episodio occorso a Milano: madre di 34 anni italiana e padre egiziano di 31. Bambino di 4 anni. Il padre islamico vuole, giustamente, che il figlio riceva l’educazione islamica. La madre, giustamente, si oppone. Dal loro personale punto di vista, entrambi hanno ragione. Ma entrambi, sulla pelle del bimbo, si sono ingannati e hanno imbrogliato l’altro nel momento in cui, facendo spensieratamente ciò che generalmente si fa per generare un figlio, non hanno previsto e tantomeno programmato le conseguenze. Drammatiche e crudeli per quella piccola creatura. Costretta a vedersi sballottare, fino a essere rapita, tra una madre egocentrica e un padre violento. Sbaglia la madre possessiva e prevaricante, sbaglia il padre aggressivo e persecutorio. Una donna a trent’anni non può non conoscere le regole della religione musulmana; se frequenta un egiziano non può non sapere che nella comunità egiziana c’è l’usanza di riportare per un certo tempo i figli in Egitto, ovunque siano nati, per essere affidati ai nonni che ne curano l’educazione alle loro radici, lingua e religione. Sia che lo sappia, sia che non lo sappia, è pur sempre una donna che decide di diventare madre nella superficialità colpevole. Colpevolissimo pure il padre che, con altrettanta tracotanza, pretende di farsi giustizia da sé. Dimentichi tutti che nel mare di prepotenze e reciproche cattiverie, i genitori garantiscono esclusivamente il naufragio esistenziale al figlio. Il gusto perverso della reciproca sopraffazione tra genitori, infatti, fa sempre vivere i figli in uno scenario privo di sentimenti e produttiva affettività: non sempre la giustizia può dare spazio ai bisogni negati di questi sfortunati bambini e quasi mai riesce a metterli al riparo della violenza. Gli errori nel creare le famiglie costano, dunque, cari; meno a chi li compie, moltissimo ai loro figli e in gran parte anche alla società, se non altro quando c’è la violenza, che è contagiosa. L’amore per i figli non è un marchio di fabbrica, non è così scontato, non è un dono del cielo: è il prodotto della consapevolezza, della lungimiranza, dell’impegno personale.