Caro marito, ,non so perché, ma non riesco a smettere di amarti. E di volerti con me a qualsiasi prezzo.,Anche al costo volgare di scoprirti ogni giorno più debole.,Non deve avere fatto molta fatica questa nuova giovane donna per convincerti di essere rimasta folgorata dal tuo fascino al primo istante. Va bene, sei un medico affermato ma molto generico. Non sei proprio calvo, ma la tua “piazza” non ha nessuna attrattiva. Hai a volte un po’ di forfora. E la tua pancia non è proprio sexy. Si è innamorata, anche lei, perché sei un “bel ragazzo, simpatico e carino”, come ami dire ai tuoi pazienti? Tu sei certo di esserlo, per giunta. Non è ciò che vedono gli altri che conta, per te, ma il tuo film sempre uguale che gira instancabile nella tua testa. Tanto egocentrica da non capire che oggi molte “ragazze” vogliono la sicurezza economica, non l’uomo ardito che le difenda dalla guerra e dalle intemperie. E infatti molte aspirano ai cinquantenni già rodati, senza mutui, con un buon capitale e un’aspettativa di pensione reversibile e interessante. Non sanno rinunciare al loro papà, che le ha viziate fino a trent’anni, e si scelgono un papà diverso, perché l’incesto è, per ora, ancora un tabù. I loro coetanei o non hanno lavoro o lavorano troppo. Non le portano nei ristoranti trendy e pretendono la metà del prezzo del cinema. Gli arzilli cinquantenni, che annaspano nel testoterone, si lasciano invece corteggiare con tre o quattro sms e poi ripagano col week-end nella beauty-farm. La clandestinità dura poco. Perché oggi le ragazze (una volta tuttavia a trent’anni non si era ragazze, ma donne) vogliono esserci, apparire, entrare da protagoniste vittoriose nella casa al mare già pronta o sul luogo di lavoro garantito. Sono avide di rubare la vita degli altri, perché non hanno imparato a costruirsela. Molte fanno sesso con la stessa disinvoltura che applicano nel messaggiare col cellulare: si propongono e cliccano “invia” prima ancora di sapere con chi hanno a che fare.,Se solo la tua nanetta bionda vedesse la faccia da scemo che fai non appena ti vibra il cellulare nella tasca, si stupirebbe di averti reso protagonista dei suoi obiettivi esistenziali. Io ormai faccio finta di niente. Anzi mi allontano, per evitare di essere coinvolta e dover prendere posizione. E dalla cucina sento il tuo silenzio gravido di fermento. Inforchi gli occhiali, leggi il messaggino, indossi il sorriso da prete benevolo, rispondi “anche io amore”. E’ la frase più breve che credi di poter scrivere, data la mia presenza incombente. Non ti preoccupare, maritino mio, non mi concedo di coglierti in castagna. Tanto, appena sarai addormentato, andrò a leggermi tutte le scemenze che non pensavo potessi mai dire, mentre il tuo fiero russare mi garantisce di non essere sorpresa. Ormai da anni vivo due vite parallele: l’una apparente di devota moglie trentennale, l’altra segreta di morbosa spia. Queste due donne sono tenute insieme dalla paura: della solitudine, della dichiarazione ufficiale di fallimento, della sconfitta. Nessuno quindi deve sapere. Perché io alla resa dei conti, sarò la vincitrice. Tutte le donne che hai avuto sono sparite dalla nostra vita, l’hanno abitata per pochi mesi o qualche anno. Io, invece, ci sono sempre. Sono qua, con te. Tu ritorni immancabilmente da me. E in fondo quelle donne, certamente loro neppure lo immaginano, lavorano per me. Lo sai come faccio a scoprire ogni tua nuova infatuazione? Dal fatto che improvvisamente diventi più gentile, più attento. Ti interessi dei miei programmi, accondiscendi alle mie richieste di acquisti, eviti ogni discussione, fai l’amore una volta alla settimana anziché ogni tre mesi. So bene che si tratta di manovre idonee a mascherare le tue imprese da seduttore, ma che importa? Intanto ti accorgi che esisto e ne tieni conto. La tua coscienza è tranquilla, perché credi di farmi felice. Ti appaio serena. Ma io vivo nel tormento, nella rabbia, nello strazio cocente dell’umiliazione. Nessuno deve sapere. Sperpero la mia dignità nel fingere di crederti, nel mentire, nello scoprire tutti gli indizi e le prove clamorose della tua idiozia. Leggo con rodimento dal tuo cellulare tutti gli sms (quasi sempre uguali in ogni nuova storia), conto con supplizio le chiamate fatte e ricevute, controllo apprensiva dall’estratto della carta di credito i conti dei ristoranti e degli alberghi. Non ne parlo con nessuno. Penso con disperazione amara al tempo che sai trovare e moltiplicare per donne così diverse da me e incapaci di un amore solido come il mio. Mi faccio male andando a visitare i ristorantini che hai scelto per loro e mi sorprende la tua incoerenza estetica. Per anni hai convinto gli amici, e tua moglie, del caloroso e ruspante sapore delle trattorie e delle locande campagnole. Con le altre, ora, scegli invece luoghi gelidi e lucidi, troppo illuminati e coi camerieri bardati. Quando entro nella nostra auto e sento un profumo nemico o scorgo un capello clandestino, con tristezza, ti distraggo rapidamente, per evitarti l’imbarazzo di una spiegazione che non sapresti darmi. Ti proteggo e contemporaneamente mi cola il liquido del dolore dentro al corpo, dagli occhi fino alla pancia. Sopporto l’angoscia per evitare che tu ti umili in una frettolosa menzogna. Il periodo più brutto della mia vita è stato quello in cui la tua amante era mia sorella. Chissà per quanto tempo non me n’ero accorta, ancora oggi non riesco quasi a crederlo. Eppure da un certo punto in poi, quando non vista ho assistito a un vostro bacio sulla spiaggia, ho monitorato per mesi, nello strazio silenzioso, i vostri incontri, le conversazioni, le complicità. Vivevo come avendo un coltellaccio ficcato nello stomaco e sanguinavo la solita rabbia e il solito dolore, che sgorgavano da ogni millimetro della mia pelle. Anche allora non ho reagito, nessuno ha saputo niente. Ero terrorizzata che qualcosa trapelasse a mia madre, ai nostri figli, alla portinaia. Ero umiliata, ma attenta. Ho protetto questa vergogna dalla vostra incoscienza e dalla cattiveria della gente. In quei mesi ti eri perfino offeso con me, perché rifiutavo i tuoi tentativi di sesso coniugale. Ho dovuto inventare una ciste alle ovaie per evitare che le tue insistenze mi inducessero a dirti l’orrore che mi disfaceva. Così facendo, ho salvato il tuo schifoso segreto. Per amore tuo e della famiglia. Non credere, però, che il mio amore per te sia sempre così granitico. A volte penso di lasciarti, di separarmi, di tradirti, persino di ucciderti. Per non soffrire più. Ma hai un bel dire “via il dente, via il dolore”. E’ dopo, quando ti hanno strappato le radici, che ti gonfi, sanguini, combatti col dolore martellante, devi assumere antibiotici e antinevralgici. E poi rimane un buco. Bruttissimo e minaccioso. Che richiede tempo e altro dolore per essere riempito. E’ il dopo, dunque, che temo. Il dopo senza di te, le abitudini, le consapevolezze, anche amare, ma certe e sempre riconoscibili. Che cosa potrei mai essere senza di te? Io so fare solo la moglie, mi piace esserlo. Ho voluto essere la tua donna per tutta la vita e continuerò con tutte le mie forze a difendere il mio ruolo. Ti amo? Credo di sì. Penso che solo l’amore possa farmi accettare di ingoiarmi gli spasmi della gelosia che vivo, la vergogna di frugare furiosa tra le tue cose, l’amarezza di accogliere sulla mia pancia il tuo corpo usato dalle altre. L’attesa di un altro tradimento, ancora. Lo scrutarti ogni giorno e vederti sempre meno uguale all’uomo che eri quando ci siamo sposati. Il percepire la progressiva evaporazione della tua intelligenza, la trascuratezza dei valori morali una volta condivisi e persino predicati, la goffaggine dei tuoi comportamenti elusivi e depistanti. Sognavo una vecchiaia che ci avrebbe visti, temprati e addolciti dalla storia della nostra vita. Mi immaginavo grata per la protezione che mi avresti riservato negli anni e invece mi trovo a essere la guardiana delle tue sporcizie. Sapendo che da vecchi ci si ammala, ipotizzavo per noi malattie pulite tipo il diabete e l’ipertensione, o persino qualche sofferenza cardiaca. Combatto invece ogni giorno con la mia inarrestabile diarrea psicosomatica e col tuo reflusso gastrico che mi regala rutti improvvisi e acidi. Spero che con le tue conquiste tu stia più attento: non voglio vergognarmi se loro capiscono che cosa io sopporto, oltre alle tue corna. Lotto e vivo e non sono sola. Accetto tutto questo non solo perché ti amo, ma perché un giorno avrò la soddisfazione di vedere la tua consapevolezza nel riconoscermi come unica e insostituibile donna della tua vita. Quella che non vorrai lasciare mai.,Tua moglie.,