Affido: Legge Pillon, comunicatori e mediatori. Una soluzione peggiore del problema

Il disegno di legge introduce nuove figure ma replica uno schema fallimentare che già si è consolidato nella prassi, con il ricorso sempre più frequente a consulenti tecnici. Serve invece un intervento legislativo che restituisca il primato degli operatore del settore, giudici e avvocati in primis.,Ma c’è davvero bisogno della “legge Pillon”? La domanda nasce dalla considerazione che nel nostro ordinamento vige, da oltre 12 anni, in tema di affidamento dei minori, la legge n. 54/06, meglio conosciuta come “legge sull’affido condiviso”: un’ottima legge, che, nella sua illuminata formulazione, realizza già’ pienamente quel “best interest of child” richiamato più volte (con inutile espressione anglosassone) dai legislatori (ruspanti) di nuovo conio.,E’ però la sua applicazione ad aver prodotto, negli anni, soluzioni sterili – e in certi casi pure dannose – al superamento della conflittualità genitoriale. Accade, infatti, che i giudici, forse troppo oberati dal moltiplicarsi del contenzioso familiare, deleghino la “decisione” delle cause ai consulenti tecnici (i cosiddetti CTU), psicologi o psichiatri che siano. Il consulente tecnico viene nominato dal giudice non solo per la descrizione clinica delle vicende, ma anche per trovare la soluzione sul regime di affidamento, sul collocamento e sui ritmi della vita del minore. Ovvero sullo stesso oggetto della decisione giudiziaria.,Si è così arrivati all’assurdo di CTU che durano anni e che propongono soluzioni il più delle volte inapplicabili, non risolutive, se non addirittura fuorvianti, che il magistrato recepisce (spesso acriticamente) in sentenza. Si ha, in questo modo, una decisione che, nei fatti, viene emessa da un soggetto che non è il giudice e che, in sede giudiziaria, è inevitabilmente suscettibile di critica, con conseguente aumento del conflitto. Non possono infatti essere i soli test di personalità e le indagini cliniche a dire al giudice, salvo che si sia in presenza di una conclamata patologia, come decidere sulle esigenze quotidiane delle famiglie separate, rispetto alle quali è invece necessaria la definizione, da parte del giudice, di regole chiare per quel singolo nucleo.,Ed ecco allora fare ingresso, in questo stato di cose, il ddl Pillon che, senza minimamente analizzare gli “errori applicativi” che hanno snaturato il senso e l’obbiettivo della legge sull’affido condiviso, ripropone il medesimo schema fallimentare: inserisce tra la famiglia e il suo giudice nuove figure professionali (i mediatori e i coordinatori) e li investe di funzioni e di ruoli potenzialmente assai confusivi, tali da rendere ancora più lungo, faticoso e costoso un iter che si vorrebbe giustamente abbreviare.,Dagli psicologi e dagli psichiatri qualificati, iscritti nell’albo dei CTU, si passa, dunque, a figure di area anche socio-pedagogica se non addirittura giuridica (il mediatore e il coordinatore), alle quali si attribuisce un ruolo assoluto, svincolandole persino da ogni verifica e spazio di contraddittorio. Esattamente come accade oggi con il servizio sociale incaricato dal Tribunale per i Minorenni. Dunque potenzialmente foriero di gravi storture. Basti pensare al diritto del mediatore di “cacciare” dalle sue sedute i difensori (art. 3.5), come se il diritto delle persone alla difesa fosse un inutile ornamento, e all’art. 6.7, che impone ai difensori e ai genitori di “collaborare lealmente” con il mediatore, secondo quella nozione di “collaboratività” pelosa propria dell’attività del servizio sociale. E’ anche terribilmente fastidiosa l’idea che sia “libera” la scelta dei genitori di avvalersi del coordinatore genitoriale: ma dov’è la libertà quando i genitori, grazie a Pillon, sono già giocoforza inseriti in questo sistema di “mediazione”, “collaborazione, coordinazione”? Addirittura poi, il coordinatore (figura del tutto da definire), avrebbe precisi compiti terapeutici, quale la garanzia del rapporto tra figli e genitori.,Le CTU sono costose e non risolutive? La “soluzione Pillon” è ancora peggio. Perché non dovrebbero decidere direttamente gli stessi giudici (che hanno l’esperienza di centinaia di cause l’anno) e invece soluzioni strepitose, immediate ed equilibrate dovrebbero uscire dal cilindro di figure non specializzate quali mediatori, coordinatori e avvocati con più di dieci cause all’anno di diritto familiare? Ma hanno senso gli automatismi nella suddivisione dei giorni del bambino con l’uno e con l’altro genitore? Non è meglio che sia il giudice a fare un lavoro sartoriale su ogni famiglia che è diversa da ogni altra? O meglio ancora negli studi degli avvocati super specializzati che possono più dei mediatori, dei coordinatori e degli avvocati con 10 cause all’anno, trovare soluzioni nell’interesse dei minori e non dei genitori?,Le famiglie in difficoltà, in conclusione, non hanno bisogno di nuove e diverse figure socio – pedagogiche – assistenziali; necessitano, invece, della certezza del diritto e della immediatezza della decisione: ci vogliono vere e automatiche sanzioni, anche economiche, quando ci sono comportamenti scorretti, alienanti e inadempienti. La certezza del diritto, anche nell’isola comunque lambita dal diritto stesso (quale è la famiglia secondo Iemolo) è garanzia di legalità e disincentiva i comportamenti scorretti che, invece, proliferano in un sistema confusivo e segmentato. ,Il mediatore “Superman”, disegnato dal ddl Pillon, che con il suo intervento sbaraglia conflitti insanabili, cancella storiche e radicate suddivisioni dei ruoli genitoriali e divide perfettamente a metà figli, case e mantenimento, sembra più il personaggio fantastico di un videogame creato da Disney che la ponderata riflessione di una classe politica responsabilmente legiferante. Che, more solito, fa dell’interesse del minore un mezzo e non il fine. ,Forse, più che del “ddl Pillon”, si avverte forte, nella società civile, l’esigenza di un serio e composto intervento legislativo che qualifichi meglio le figure professionali che si occupano dell’ “isola famiglia”: solo la specializzazione degli operatori del settore – primi fra tutti giudici e avvocati – potrà concretamente realizzare quel “contenimento del conflitto genitoriale” in funzione del “superiore interesse dei minori” che pare ancora molto lontano dall’essere raggiunto. Soprattutto con il ddl Pillon.