Di Annamaria Bernardini de Pace
Matilda non aveva ancora due anni quando è stata uccisa. Non si sa come, forse con un calcio, e comunque con una pressione tale sulla schiena da far sì che le si perforasse il polmone con una costola e morisse nel proprio sangue.
Oggi avrebbe quasi 18 anni e non esiste un colpevole.
Quel brutto pomeriggio, in quel soggiorno di campagna, erano in tre: la piccola Matilda, la mamma e il compagno della mamma. Ciascuno dei due adulti sarebbe potuto essere l’assassino, ma ciascuno dei due sarebbe potuto essere anche l’accusatore e il testimone dell’altro. Nessuno dei due è stato né assassino, e tanto meno accusatore o testimone dell’altro. La madre è stata indagata, imputata e poi assolta in tre gradi di giudizio. Anche il fidanzato. I relativi procedimenti, in oltre sedici anni, sono arrivati entrambi al terzo grado di giudizio; la mamma alla fine è stata considerata innocente, il ricorso in cassazione contro il fidanzato è stato ritenuto addirittura inammissibile, proprio ieri. Il tutto è paradossale e molto inquietante.
Dunque, oggi, a oltre 16 anni di distanza dall’orrendo, vergognoso e sanguinario delitto, i magistrati non sono riusciti a trovare il colpevole. Tra le sole due persone presenti. A meno che non dobbiamo considerare gli avvocati degli allora presunti assassini, e oggi certamente innocenti, i più bravi avvocati del mondo.
Certo, chiunque sia rispettoso dei nostri principi costituzionali, dirà che è meglio un assassino fuori che un innocente dentro il carcere. Ma Matilda, che oggi sarebbe quasi maggiorenne, farebbe la stessa considerazione? E noi, siamo tutti convinti che i magistrati abbiano agito ciascuno con responsabilità, competenza, attenzione, rispetto sia della professione sia di una bimba massacrata? Ne basta uno solo per inceppare il percorso verso la verità.
E’ paradossale e sconvolgente che sedici anni non siano bastati a scoprire l’assassino, quando per Y ara Gambirasio, spendendo milioni di euro in ricerche pseudo- scientifiche, in quattro e quattr’otto hanno individuato il colpevole e lo hanno poi rapidamente condannato senza soffermarsi sulle mille eccezioni fatte dagli avvocati. E si dice che ci sia un innocente in carcere.
Edgar Allan Poe ha elaborato e scritto il delitto della camera chiusa molto prima di questa storia drammatica e alla fine del romanzo ha rivelato il colpevole. In questa storia, la scena del crimine è il soggiorno di una villetta isolata, dove, oltre alla bimba, alla mamma e al fidanzato, nessuno sarebbe mai potuto entrare, né per uccidere né per testimoniare.
E i nostri magistrati, con i potenti mezzi messi a disposizione dalla scienza moderna, non sono riusciti a trovare la ragione del massacro di una piccola innocente? Quale grado di civiltà, da zero a dieci, dobbiamo dare a un Paese nel quale, tra il metodo Palamara, l’indolenza, le lungaggini e l’incapacità dei magistrati, capita spesso che ci siano innocenti in carcere e colpevoli fuori? Io darei due, per tutelare quei pochi magistrati che onorano la loro funzione.
La giustizia è una virtù sociale, è un’istituzione fondamentale, che ha la propria etimologia nel termine giusto, da iustus, che significa diritto, e, comunque sia, anche verità.
Dal momento che tutte le sentenze, giuste o sbagliate che siano, vengono emesse dai Giudici in nome del popolo italiano, cioè nel nostro nome, come ci sentiamo io Annamaria, tu Giovanni, lei Michela, e via dicendo, di fronte a una povera bimba, che ci ha fatto l’ultima domanda della propria vita e alla quale non abbiamo saputo rispondere? Per quanto dobbiamo continuare a vivere nell’incertezza, nell’incapacità, o nell’incoerenza della giustizia, senza poter affidare i nostri valori e la sicurezza dell’imparzialità e della competenza a chi ci rappresenta e che siamo noi a pagare ogni giorno?
La storia di Matilda è la storia del “re è nudo”. Quando due, dichiaratisi abili tessitori, persuadono il re di saper creare delle stoffe meravigliose, ma invisibili agli stolti e agli incapaci, il re si convince a farsi confezionare un abito. Naturalmente, inesistente. Dopo che i due sarti fanno praticamente finta di rivestirlo con le stoffe apparentemente create, l’imperatore in realtà si ritrova nudo, ma non dice niente per non apparire stolto e ignorante. Altrettanto fanno tutti i sudditi durante il corteo. Solo un bimbo, con il coraggio dell’innocenza, grida: “Guardate, il re è nudo”.
Solo, Matilda, oggi, da dove si trova, vede la giustizia rivestita di forme e contenuti invisibili, priva delle forze e capacità che le avrebbero reso onore, e urla incredula “la giustizia è nuda”.