Infermiera assolta dopo 7 anni da killer

di Avv. Annamaria Bernardini de Pace lastampa.it

La Corte d’Assise di Appello di Bologna, con l’appello ter, ha assolto l’ex infermiera di Lugo di Romagna, Daniela Poggiali, perché il fatto non sussiste. Era stata denunciata, incarcerata e condannata per la morte, nel 2014, di una signora di 78 anni, ma anche per la morte di un signore di 94 anni. Una storia processuale inquietante, per chiunque creda ancora alla giustizia italiana. Prima condannata all’ergastolo, per la morte della donna, poi due assoluzioni in appello e quindi due annullamenti in Cassazione. Per la morte dell’uomo, 30 anni di carcere, poi in appello l’assoluzione. Oggi la scarcerazione. Il Procuratore Generale aveva chiesto la conferma della condanna, mentre gli avvocati, ovviamente, l’assoluzione. 

Dunque, l’infermiera non aveva ucciso i degenti, come si era detto, con iniezione di potassio. Pertanto, primo grado, appello, cassazione, poi ancora appello e cassazione fino all’appello, definitivo di oggi: una marea di giudici e pubblici ministeri coinvolti, per dire ognuno la sua che non corrispondeva mai a quella dell’altro. Oggi possiamo dividere i magistrati innocentisti e i colpevolisti e decidere che gli innocentisti dall’origine, sono stati i più bravi. O no? Il nostro codice prevede che l’imputato debba essere condannato al di là di ogni ragionevole dubbio. Cioè, fino alla prova schiacciante, c’è la presunzione di innocenza. Una volta esisteva la formula dell’assoluzione per insufficienza di prove, e questa era la conclusione di quasi tutti i processi indiziari. Oggi, invece, nel dubbio si condanna. Pensiamo solo a Bossetti o al delitto di Garlasco e a quanti più che ragionevoli dubbi ci fossero e non sono stati presi in considerazione. Questa volta, invece, con l’infermiera, il principio è stato rispettato: tra condanne e assoluzioni il dubbio è evidente. Tuttavia, è proprio la discordanza di giudizio tra i vari giudici che sconvolge il cittadino. Sono i 6 processi resisi necessari per arrivare all’assoluzione, che creano panico in chi teme di poter avere a che fare con la giustizia. Sono gli oltre tre anni di carcere dell’infermiera, oggi assolta perché il fatto non sussiste (il fatto non sussiste! Ovvero, la formula più categorica di assoluzione) che provocano dubbi in chiunque sul funzionamento della magistratura. In un periodo storico, peraltro, nel quale i magistrati hanno perso di credibilità, e non solo per le confessioni di Palamara. 

Tutto sommato, di fronte a giudici e pubblici ministeri così macroscopicamente difformi nel pensiero e nel giudizio, meno male che il nostro ordinamento preveda tre gradi di giudizio e, in particolare, il controllo di legittimità sulle pronunce di merito: così infatti, e solo così, c’è la possibilità di rimediare agli errori dei giudici che vengono prima. Non c’è dubbio che l’ex infermiera chiederà allo Stato di essere risarcita per l’ingiusta detenzione, ma potrebbe e dovrebbe far valere anche tutti gli altri danni possibili (morale, esistenziale, alla reputazione, biologico, alla salute, etc…) provocati dall’errore madornale di quei giudici che l’hanno costretta al carcere. 

E quanto alla reputazione, pensiamo che, benché assolta, sarà nell’immaginario di tutti sempre l’infermiera killer, fotografata vicino al paziente deceduto con le dita in segno di vittoria.

Ma pensiamo soprattutto che saremo noi cittadini italiani (alias lo Stato) a risarcirla dei danni subiti per colpa degli errori dei giudici. Non ci resta, a questo punto, che sperare nei referendum sulla giustizia, promossi da radicali e lega, e soprattutto sulla successiva attività del parlamento, perché i giudici diventino, direttamente e personalmente, responsabili dei propri errori. E questa volta davvero. Non come quando sono stati salvati in corner dopo il referendum di parecchi anni fa. È troppo comodo lavorare, a volte con sciatteria, a volte con arroganza, spesso con superficialità, commettere errori clamorosi e poi emettere sentenze “in nome del popolo italiano”. Quello stesso popolo, che dopo essere rimasto allibito dalla flessibilità dei giudizi, pagherà i danni provocati proprio da quei giudici che i giudizi hanno espresso. In nome della legge.