Rivista Associazione Italiana Magistrati
Questa è la storia di una bella e brava ragazza salentina (della provincia di Brindisi) che meno di trent’anni fa ha realizzato il sogno di entrare nella Polizia di Stato. A soli 23 anni è stata nominata Vicecommissario di polizia per diventare, poi, Commissario due anni dopo ed essere nominata Vicequestore aggiunto nel 2001; Primo Dirigente nel 2014 e Direttore della divisione Interpol nella Direzione Centrale della polizia criminale nel 2019. Oltre all’italiano, conosce l’inglese e lo spagnolo, è laureata in giurisprudenza e ha compiuto il tirocinio per diventare avvocato. Tra le tante cose, è stata capo delle Volanti a Milano e ha sempre riportato il massimo dei punteggi nei rapporti informativi. È creatrice del Protocollo Eva, usato dalla Polizia di Stato contro la violenza in famiglia e quindi strumento indispensabile per gli avvocati che si occupano, appunto, di violenze domestiche. Tra le sue operazioni importanti, veramente tante, ricordiamo che ha fatto parte del gruppo investigativo “Marco Biagi”, istituito dopo l’omicidio del grande giuslavorista commesso dalle nuove Brigate Rosse; la cattura ad Amsterdam del latitante dell’ndrangheta Sebastiano Strangio; l’arresto della famosa coppia milanese che aggrediva anche sconosciuti buttando l’acido in faccia; per non dimenticare l’arresto di 12 latitanti italiani a Santo Domingo e il recupero ai confini della Siria di Alvin Berisha, rapito dalla madre per farlo combattere con l’ISIS; e via dicendo, in una carriera complicata, pericolosa e difficile. Questa donna, della quale l’Italia dovrebbe essere orgogliosa, una professionista che dovrebbe meritare, non dico la medaglia d’oro perché troppo giovane (nata nel 1967), ma almeno di quarzo o di ametista, ha subìto per 4 anni una persecuzione giudiziaria veramente oltraggiosa, che ieri si è conclusa per l’intervento di un coraggioso Gup, il quale ha emesso finalmente “sentenza di non luogo a procedere” perché il fatto non costituisce reato. Una storia, anzi un orrore giudiziario, neppure errore, proprio orrore, iniziato 4 anni fa con un’accusa vaga e ipotetica secondo la quale la dottoressa Maria Josè Falcicchia si sarebbe appropriata di denaro per “uso momentaneo” proprio. 4 anni di indagini portati avanti, malgrado i pm Boccassini e Civardi avessero chiesto l’archiviazione. Nel frattempo, invece, il sostituto Procuratore generale Gaballo ha avocato a sé l’inchiesta, così devastando il tempo, la vita e l’anima, oltre che la reputazione, di un’italiana valida, capace e competente. Della quale tutti dovremmo essere orgogliosi. E, dopo tutto questo tempo, fortunatamente, un giudice giovane e preparato, il dottor Roberto Crepaldi, forse perché fuori dalle correnti che hanno intossicato il sistema giudiziario, ha voluto onestamente decidere che il fatto non costituisce reato. E tutto questo, appunto, orrore giudiziario, è successo perché quando era a Capo delle Volanti, Maria Josè, secondo il pg Gaballo, avrebbe commesso peculato, utilizzando donazioni di privati e il ricavato della vendita del fotolibro “Milano. Il blu delle volanti” in un’ottica personale, ma non per sé (restauro dei locali dedicati della polizia). Dai 65.000,00 euro in discussione, il pg li ha ridotti prima a 7.500,00 nella richiesta di rinvio a giudizio e, addirittura, infine a 4.000,00 su esplicita richiesta del giudice. Secondo il pg, e questo per me che sono giurista da almeno 40 anni è una vera novità, la dottoressa Falcicchia aveva compiuto a proprio favore l’inversione del possesso di denaro della pubblica amministrazione, senza spenderlo a proprio favore. Il coraggioso gup Crepaldi non ha ancora depositato le motivazioni per le quali ha ritenuto che il fatto non costituisca reato, ma sono davvero curiosa di capire il nesso tra il peculato, l’inversione del possesso e una dirigente di polizia che si è preoccupata dei propri colleghi. Non possiamo non immaginare, e non parteciparvi, il pianto liberatorio e, quindi, le lacrime potenti della dottoressa Falcicchia, grande donna e grande dirigente, ingiustamente perseguitata, crudelmente bloccata nella sua meritata e inarrestabile carriera, malamente colpita nella reputazione che aveva coltivato con sacrificio e con onore. Non è detto che sia finita così, purtroppo. Infatti, il dottor Gaballo, che ha voluto condurre lui l’indagine ritenendo inerti i pm che lo avevano preceduto e che avevano chiesto l’archiviazione, potrebbe ancora impugnare la sentenza. Speriamo davvero che non lo faccia. Per 4.000,00 euro, sempre e solo a disposizione degli uffici di polizia. Speriamo anche che il 12 giugno tutti i magistrati, quelli bravi e quelli no, capiscano che la giustizia che funziona è garanzia della libertà e della democrazia. Lo potranno capire solamente se i cittadini italiani andranno a votare il 12 giugno per il referendum e voteranno Sì. Sì all’abolizione di tutte quelle norme che consentono ai magistrati di vivere in modo contiguo e pericoloso con gli altri poteri dello Stato, senza garantirsi l’indipendenza, quale indispensabile attributo della giustizia. Già, purtroppo, la Corte costituzionale ha stabilito che i magistrati non possono essere ritenuti direttamente responsabili dei propri errori (condanne sbagliate, processi lunghi, inchieste inutili e qualsiasi altro errore che nasca dall’incapacità, dall’indolenza, dalla corruzione, dal pregiudizio): secondo me è uno sbaglio clamoroso perché chirurghi, avvocati, medici in genere e ogni altro professionista, pagano di tasca propria e, quindi, si muniscono di assicurazione. Perché lo Stato, cioè noi cittadini, deve pagare gli errori di un magistrato? La lobby del silenzio e una molto approssimativa riforma della giustizia hanno, purtroppo, boicottato questo referendum. Non potrebbe essere almeno la storia della dottoressa Falcicchia a far capire ai cittadini l’importanza di delimitare il perimetro di potere di qualsiasi magistrato, rafforzandone la responsabilità?